La gratuità dell'amore

03/12/2011 16:36

La gratuità, indole divino dell’amore

 

1)        Soltanto l’amore crea vera comunione   

  1.      Il divino modello dell’amore ci è dato
  2.      Amore trinitario e santità comunitaria
  3.      Come il “Noi” trinitario
  4.      Credibile è solo l’amore

 

2)        L’amore ha essenzialmente bisogno della mediazione

2.1      Gesù mediatore del Padre Gv 14,21b; 14,23

2.2      La Chiesa, mediazione del Regno

2.3      Le mediazioni nella famiglia

 

3)        La famiglia, luogo privilegiato dell’amore gratuito

3.1      L’accoglienza di tutti

3.2      Il più grande dono: il perdono

  1. L’amore protetto dalla responsabilità

 

La gratuità, indole divino dell’amore

            Vorremmo dimostrare alcuni aspetti tanto profondi quanto istruttivi per la vita quotidiana nella famiglia e per il costante rinnovamento della familia. Confronteremo la auto-rivelazione di Gesù con le forze più segrete della convivenza familiare.

 

1) Soltanto l’amore crea vera comunione

Soltanto l’amore e la verità danno dignità piena e libertà all’uomo. Tutte le altre relazioni umane costituiscono dipendenza, quando non oppressione o schiavitù.

 

  1. Il divino modello che ci fu dato

Nell’incarnazione Dio non soltanto è sceso in direzione a noi, ma ha vissuto la sorte umana, come se Lui fosse creatura, affinché noi partecipassimo veramente della Sua sorte divina. Ciò che Gesù ci annuncia come amore suo con il eterno Padre, lui vuole viverlo ugualmente con noi. Quello che la rivelazione ci manifesta con riguardo all’amore divino deve diventare la meta e la misura dell’amore tra i cristiani e, tanto più, nella famiglia, espressione piena dell’umanità, ed immagine del traboccante amore divino. Così non può essere assurdo dire che la comunione nella Santissima Trinità è modello  di ogni vera comunione tra i redenti. In modo inaudito la divina beatitudine, la comunione intima tra il Padre divino ed il suo Figlio, nello Spirito Santo, ci fu rivelata affinché ricevessimo questa divina sorte come nostra nuova vita. La grazia, diventata la nostra eterna meta, divinizza la nostra vita. Rivelazione non è (appena) un evento verbale, ma la divina realtà, annunciata nella parola, diventa la nuova realtà che assume la creatura nell’interno della santità del Padre e del Figlio:

“La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,22-23).

 

  1. Amore divino, fonte di santità comunitaria

Come Dio nella sua adorata Trinità non può essere solo, non può essere solitario,

così chi riceve la sua grazia, è essenzialmente rimandato al suo fratello, al più prossimo o al più distante, al simpatico o  all’odioso e ripugnante, perché in tutti loro vive, o desidera vivere, la stessa divina maestà. Dio che per sua intima natura è comunione eterna, anche quando vive nel cuore del uomo vuole e deve essere comunione comunicante. Così, l’uomo che non vive in una espansiva fraternità e vera comunione con tutti, nega con la sua vita so stesso Dio che la sua bocca confessa.

            In Dio l’amore è fonte traboccante. Per questo l’amore in noi non può mai ridursi a una semplice risposta ad un amore ricevuto. Deve diventare amore-fonte, amore che per una intima necessità si comunica. L’Enciclica Deus caritas est del Santo Padre Benedetto XVI (25 dicembre 2005) dice tale fondamentale verità con parole diafane: “Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci (…) Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo" (17.1). “Il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (ibd. 11.2) . È regola fondamentale in ogni relazione umana. Dio ci ha amato per primo. Come vedremo più avanti, la famiglia, in mezzo a tante minacce e seduzioni, può essere l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa” (ibd. 11.2).

 

  1. Come il “Noi” trinitario  

La radicalità con cui l’amore di Dio cerca di cambiare il cuore umano, cerca di

rinnovare le estenuate forze del cuore dell’uomo e della donna, si esprime nella comparazione fatta da Gesù che nessuna creatura potrebbe arrogarsi a fare. Non si tratta appena di una comparazione morale, ma si tratta della misteriosa rivelazione della vita divina in noi.

“Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

In modo ineffabile l’uomo diventa immagine di Dio fino a quel massimo dove si stabilisce una misteriosa identità: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi”. – Così in tuta la opera missionaria ed apostolica i cristiani devono manifestare questa divina unione che la grazia opera tra loro: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,18s). La prospettiva che qui si apre ci rivela la vera e ammirabile vicinanza del divino in noi. Ma ci indica anche la bellezza della preghiera fatta insieme, dove in parole umane di confinate orazione si versa la stessa divinità. Tutti nella famiglia sapranno pregare affinché questa santità divina tra tutti i membri non si perda mai. Gesù conosce la nostra debolezza e intercede per noi: “Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi” (Gv 17,11b).

 

  1. Credibile è solo l’amore

Vili interessi nascosti nel cuore dell’uomo possono costituirsi i motivi reali di

comportamenti apparentemente buoni. Davanti al peccato tanto universale e perverso, che si fa una situazione senza via de uscita, San Paolo ripete le dure parole dei Salmi 115,11: “ogni uomo è mentitore” (Rom 3,4). Solamente l’amore provato nel fuoco della sofferenza e della rinuncia è simile a quello “per primo” dell’amore di Dio. Vera fiducia merita soltanto questo amore provato. Davanti al mistero della Croce, dove il Figlio di Dio ha versato il suo sangue, San Giovanni proclama con enfasi che “crediamo all’amore” (1Gv 4,16). Giovanni usa la forma del perfetto (“pepisteúkamen”: abbiamo imparato a credere) per significare il risultato in noi permanente dell’amore. Dove tra gli uomini, peculiarmente nella famiglia, si è sperimentato questa forma di amore provato e costante, lì la fiducia diventa possibile al di sopra di ogni dubbio.

 

2) L’amore ha essenzialmente bisogno della mediazione  

            In questa vita, l’amore avrà sempre bisogno di mediazione. Perché l’amore è la percezione e l’offerta dell’infinito, senza limiti. “tra l’amore e il Divino – dice il Papa Benedetto XVI[1] – esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità, una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere”. Per questo nessuna parola umana, nessun gesto materiale, per sé solo, è capace di dire o di dimostrare tutto quello che l’amore intende.

 

2.1 Gesù, mediatore del Padre

            Tutta l’esistenza di Gesù, tutta la sua dottrina, la sua consegna umana sulla croce, tutto questo è un grande simbolo, una traduzione in gesti e simboli di quel Dio che “nessuno ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). Una immagine umana riesce a spiegare il senso profondo di questa “mediazione”. Nei primi tempi della vita del bambino, il padre è sperimentato come qualcuno relativamente più lontano della mamma. Ma nella misura in cui la mamma rivela e comunica ai figli, non solo in parole ma anche in innumerevoli gesti, il suo appassionato amore, la sua incondizionata ammirazione per il papà, i figli diventano partecipi della intimità dei loro genitori. Nell’amore al papà, vissuto e dimostrato dalla mamma, i figli scoprono la vera immagine del loro padre. Le notte di preghiera e di adorazione di Gesù, il suo costante richiamo alla volontà unica ed esclusiva del Padre (Gv 4,34; 5,30; 6,38s), la sua angoscia davanti alla morte orrenda, offerta al Padre in assoluta ubbidienza di amore, la sua ultima supplica “Perdonali, Padre” (Lc 23,34), tutto questo è il grande sacramento della vita di Gesù, la sua mediazione per rivelare l’assoluto mistero adorato del Padre, “che è più grande” dell’esistenza umana del Figlio divino.

 

 

2.2 La Chiesa è la mediazione del Regno di Dio

            Così, come Gesù è la mediazione del Padre, analogamente la Chiesa è la mediazione del Regno di Dio, già presente in essa, ma ancora non manifestata in sua realtà piena, in sua misteriosa interiorità sacramentale e divina.

2.3 Le mediazione dell’amore nella famiglia

            L’amore che non è ridotto a un interesse egoistico e sensuale saprà che quello

che si vuole dire all’altro è infinitamente più grande di tutti i discorsi e gesti. Ma i gesti, nella loro relativa impotenza, non sono superflui. Sono invece necessari. Quando c’è la grande fiducia nella famiglia, il vero amore rispettoso, dunque tutto cominciano a parlare ed a fare i suoi gesti esattamente come mezzo necessario per insinuare ed annunciare quello che più grande: il mistero divino che vive in noi e nel quale mistero ci comunichiamo tra noi. Solo così la vita familiare diventa indicibilmente bella, quando siamo uniti e ci amiamo, ci rispettiamo e ci aiutiamo generosamente, sapendo che quello che ciascuno di noi porta in sé, senza che le parole possano argutamente significarlo, è la dignità divina che Dio ci dà e che insieme proteggiamo; perché in mezzo alle sofferenze e delusioni della vita già siamo figli di Dio, e per questo siamo veri fratelli e sorelle sotto lo sguardo del Padre. Questo è l’amore discreto che conserva il più grande nella purezza della comunicazione sincera. È nostro amore, ma è molto più portatore dell’amore di Dio, che con estrema gratuità feconda e santifica il nostro amore terren.

           

3. La famiglia è il luogo privilegiato dell’amore e della gratuità

 

  1. Il modello della Sacra Famiglia

 

Nonostante differenze fondamentali, la Sacra Famiglia, in cui ognuno ricevetti direttamente da Dio la sua funzione, ci fornisce una ricca ispirazione per comprendere nelle nostre famiglie la missione che ciascuno davanti a Dio e davanti agli altri. Esattamente per essere eletto da Dio per la sua funzione, i membri nella Famiglia di Nazareth sono evidenti doni di Dio per gli altri. Essere dono di Dio per gli altri e ricevere ed accettare gli altri come puro dono di Dio, è il segreto della vera comunione familiare.

I santi profeti tremavano davanti alla santità di Dio (cf. Is.6; Es 3). Giuseppe sperimenta più di Isaia nel tempio e più di Mosè davanti al roveto ardente, la ineffabile presenza di Dio in Maria. L’angelo gli dichiara: “Quello che è generato in Maria viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20). Giuseppe si riconosce, attraverso di Maria, come eletto da Dio per essere protettore del santuario di Dio sulla terra, protettore del adempimento di tutte le promesse di Dio al Popolo santo. Esattamente attraverso Maria la sua solitudine diventa la più alta scelta da parte di Dio. Non è merito suo, ma è la presenza di sua Sposa consacrata che gli rivela sua vera vocazione.

Ma anche la sua relazione con Gesù è di incomparabile unicità. Giuseppe, non per merito suo, ma per la scelta divina è l’unico uomo nell’universo che è interpellato come “pappá” dal figlio di Dio. Tutto ciò che lui può essere per questo “suo” misterioso e divino figlio gli è dato come grazia senza merito: è la assoluta gratuità del Figlio Gesù in sua famiglia.

Ma anche in Maria si attua la stessa gratuità, non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti a Giuseppe e Gesù. Maria può essere la vergine-madre, senza pedere il suo nome il suo onore davanti alla società, perché Giuseppe esercita la sua funzione di uomo eletto da Dio per proteggere il nome di Maria e per dare  il nome civile a Gesù che è più di un profeta, è Figlio del Dio adorato (cf. Mt 1,21).

Maria può accarezzare con tenerezza de madre quello che è eternamente nato da Dio. Quello per cui solo Dio è Padre, Maria è veramente madre.

 

            E Gesù ha bisogno della cittadinanza terrestre. È Giuseppe che lo introdurrà nella Sinagoga. Senza Giuseppe, Gesù non potrebbe essere onorato nel mondo. Ed allo stesso tempo, Gesù dà a Giuseppe quello che nessun patriarca possedeva: avere amore di padre per il Figlio del Dio eterno.

            Tutto Maria lo dà a Gesù; ma soltanto a causa di lui e per lui lei à la piena di grazia, la benedetta fra le donne. Da Gesù Maria riceve l’unica grazia di poter essere partecipe alla redenzione, come nessuna altra creatura (cf Gv 19,25ss; Lc 2,49).

            Ciascuno riceve la sua vera vocazione da Dio; e tuttavia la riceve e la possiede attraverso la presenza dell’altro, degli altri. Così in ogni famiglia cristiana ciascuno deve vivere davanti agli altri il piano che gli è dato da Dio. Ma nel contempo ciascuno può e deve essere aiuto divino affinché gli altri realizzino la loro vocazione divina.

            Così la presenza nella famiglia è una presenza di reciproca gratuità, di presenza non meritata del piano di Dio, la concretezza della vocazione che Dio mi dà.

 

  1. La molteplicità dell’amore gratuito nella famiglia  

 

Con tre esempi possiamo vedere qualcosa della divina bellezza della famiglia che, in mezzo a un mondo dei conflitti, cerca di vivere la sua piena grandezza.

a) L’accoglienza   I genitori si sono scelti non solo secondo i criteri di un amore egoista, ma nella percezione dei ideali che vivono nel cuore dell’altro. E dopo, ogni figlio, frutto dell’amore e della generosità dei genitori, è accolto come dono di Dio. È il miracolo della presenza di Dio che si percepisce nell’accoglienza di un figlio, i cui problemi ancora non si conoscono, le cui sofferenze tutti vogliono accettare come le loro. Già adulti, i figli ritorneranno e sapranno che nel cuore del padre e della madre hanno il loro vero “focolare”.

b) Il perdono Per quanto una famiglia viva con dignità, sempre ci offrono delle opportunità di vivere il perdono. La complessità della vita quotidiana ha bisogno di questo dono, senza calcolo egoista, ma per generosa liberalità. Perdono è forze la forma più radicale e più totale del “dono”. Il cuore buono persiste nel donare, anche dove l’altro non osa più sperare qualcosa. Insistere nella bontà e persistere nel dare e donare: ecco il profondo senso del perdono. Questa purezza dell’intenzione deve essere vissuto nelle piccole cose, così potremo avere fiducia nei momenti più dolorosi della vita.

c) La protezione Nella famiglia esiste l’affetto e l’amore. Ma è un amore fraterno che non si arroga ad usare l’altro. Il pudore dà uno splendore incomparabile all’amore. La famiglia sana coltiva questa qualità. Prima di esigere questa mobilissima virtù, ciascuno l’offre amorevole agli altri. (Così il Papa Giovanni Paolo II, in sua Lettera ai sacerdoti del mondo nel Giovedì santo del anno 1995) definisce, a partire del modello della fraternità nella famiglia, la luminosa e vigorosa virtù del sacerdote nel contatto spirituale con le donne.

            La famiglia è il luogo privilegiato dell’amore generoso e gratuito.



[1] Enciclica Deus Caritas est, n.5.1