La belezza della creatura che prega
La bellezza della creatura che prega
Un campo di fiori è sempre bello. Ma quando su di esso si alza il sole rivestendolo di esuberante splendore, è allora che si rivela la maestosa bellezza delle creature. Anche un bambino possiede sempre tenerezza e incanto. Ma quando sorride, il suo volto si illumina con un incanto che non finisce. Allo stesso modo, ogni profonda bellezza della persona umana ha bisogno di una luce per toglierla dalla penombra dei dubbi e del disincanto. L’uomo è soltanto veramente e pienamente uomo quando la luce di Dio brilla su di lui e nella profondità della sua anima risveglia la fiducia e la gioia.
L’uomo più umano non è quello che ride, ma colui che prega, e che, dopo aver finito la sua preghiera, irradia sul mondo qualcosa della sua pace, facendo del bene a coloro che soffrono e a coloro che sono soli.
Gesù richiama la nostra attenzione sulla bellezza del mondo. Ma richiede che, quando contempliamo l’incanto della natura, ci accorgiamo di una bellezza in noi ancora più ricca. “Guardate i gigli del campo, come crescono e non lavorano, né filano. Eppure vi assicuro che neanche Salomone, in tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani sarà lanciata nel forno, non farà assai di più per voi, gente di poca fede?”(Mt 6, 28-30).
Gesù conosce la bellezza divina di ogni persona umana, purché non si offra al peccato, alla menzogna e alla seduzione. La bellezza dell’uomo è interiore, ma traspare in modo ammirevole attraverso i gesti, le parole, lo sguardo. “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio sarà malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande saranno la tenebra!” (Mt, 6, 22s)
Un’altra – e forse la più sublime – espressione della bellezza interiore dell’uomo è il momento della preghiera. Vediamo come sono belle le mani che si uniscono a pregare. Quando, nelle mani unite, le dita di una mano si curvano sull’altra mano, è come se volessero custodire il tesoro del cuore che non si può vedere. E quando il sacerdote si dirige alla Santa Messa, o prega vicino all’altare, congiunge le mani aperte, con le dita che indicano verso l’alto. Le mani disposte a pregare sembrano imitare le colonne di una cattedrale gotica nel loro solenne elevarsi. Il paragone potrebbe sembrare, a prima vista, un po’ esagerato. Ma, in effetti, è molto esatto. Perché il corpo d’ogni cristiano è un tempio che contiene e custodisce il santuario di Dio. San Paolo, in un testo eloquente, afferma: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, e questo tempio siete voi” (1 Cor 3,16 s).
Le nostre mani, tante volte agitate e rivolte a tutte le cose esterne del mondo, per tutte le cose pur opposte tra loro, si uniscono nella preghiera e tornano all’unità e al senso originale dell’essere umano. Le proprie mani, unite in preghiera, indicano la finalità divina e il senso misterioso d’ogni essere umano. Mani in preghiera rivelano il mistero che è più grande della nostra vita. Nell’uomo che prega, il “lago della nostra vita” (come Nietzsche definiva il suo io chiuso con barriere al mare dell’eternità di Dio) può comunicarsi con il mare eterno, nel flusso e riflusso. La persona che prega comunica con l’eternità di Dio. Sperimenta nella sua piccola e pur grandiosa vita ciò che il Salmista cantava:
“Quanto è preziosa, o Dio, la tua grazia, il tuo amore! (…) Poiché la fonte della vita è in te, alla tua luce vediamo la luce” (Sl 36 (35), 8.10)